domenica 4 luglio 2021

Saluti e baci da Rimini




– C'è voluto un po', ma ce l'abbiamo fatta – mi dice F. guardandomi fisso negli occhi. E stranamente il suo sguardo non mi disturba. 


Ci sono voluti giorni, mesi, e prima ancora anni, ma alla fine ci siamo trovati nella stessa città, con la stazione sullo sfondo e il mare davanti, in una cartolina sognata mille volte, di quelle con i collage di posti da visitare e le scritte vintage tondeggianti che ti mettono un po' tristezza e un po' allegria. C'è qualcosa di più triste della parola allegria
Ho passato la notte insonne a immaginare questo incontro nei dettagli più infimi: come mi sarei vestita, dopo mesi di pigiami e tute, come ci saremmo salutati, ora che i saluti sono così carichi di incognite, oltre che dei soliti imbarazzi, di cosa avremmo parlato, e cosa avrei detto, soprattutto, sperando che la timidezza non mi avrebbe stretto la gola e annebbiato la mente, come succede ancora più spesso di quanto vorrei. Certo che se ti lasci trascinare da certi pensieri è impossibile dormire, e se non dormi il mattino dopo le tue innate occhiaie te lo faranno pesare, ti guarderanno sprezzanti e arrese allo specchio e ti diranno: "Ma ci hai viste? Ti pare che con due come noi puoi permetterti di fare le ore piccole? L'insonnia tu non te la puoi permettere, ché poi inizi pure ad avere un'età!". Ed è così che mentre pensavo all'imminente confronto con le mie occhiaie, il sonno ha avuto la meglio, e per almeno tre orette buone ho avuto la grazia di non dover pensare a niente. 
Il viaggio in treno della mattina dopo, anche noto ai posteri come La Corsa Sgraziata Per Non Perdere l'Ennesimo Treno Della Tua Vita, è stato rocambolesco q.b. e mi ha lasciato senza fiato per una cospicua mezz'oretta, ché inizio pure ad avere un'età. Ma ora, con lui davanti, più alto e più carino di quanto lo ricordassi, sento di essermi accomodata in un accogliente presente in cui posso camminare, non correre, respirare senza affanno, esistere, senza desiderio di essere altrove. 
Trascorrere il tempo con una persona che ti piace è per me una forma di meditazione: ti immerge nel presente, ti libera dal peso di proiezioni passate e future, allevia il rumore dei vortici dei tuoi pensieri.  E così inizio a fluttuare in questo tempo sospeso e rarefatto, godendomi i movimenti lenti del mio corpo, il fluire spontaneo delle nostre parole, osservando i suoi sguardi e i suoi gesti.
F. quando parla gesticola un po', è teatrale, a volte, e si lascia prendere dall'enfasi di quello che racconta, dà il tono e la cadenza giusta a tutte le parole. Io lo guardo rapita e spero non se ne accorga troppo, ho paura che far trasparire quanto mi piace sia un passo falso, che sia come far scoprire il punto debole al nemico o dargli in mano l'arma con cui distruggerti. Di sicuro questo modo di pensare è retaggio di relazioni tossiche passate, perché poi non sempre l'altro è il nemico, non tutti sono lì per illuderti, usarti, ferirti. Credo che F. sia diverso, ma se fosse un altro di quella lista, appenderei le scarpette al chiodo e mi rassegnerei per sempre al mio destino monacale, ché tanto la vita ascetica penso mi si addica; anche se a molte cose ho rinunciato per paura più che per scelta, e la paura non è mai una motivazione saggia, per quanto possa esser salda e sostenersi benissimo e a lungo.


– Ti ho portato una cosa, per il tuo compleanno. Lo so, sono un po' in ritardo... – F. si gratta la testa e abbassa lo sguardo, accennando un sorriso.
Lo ringrazio e intanto ho gli occhi a cuoricino come in una delle emoticon che uso più spesso. Forse sono pure arrossita un po', ma con la mascherina non si vede. Stacco con cura lo scotch dagli angoli della carta bianca un po' increspata.
– No! Mi hai preso i cantucci!
– Però non mi deludere, me li devi assaggiare con il vino.
– Guarda che con il latte fresco di mandorle sono buonissimi lo stesso.
Miscredente! Eretica! – mi dice enfatico alzando le braccia – E comunque ci sarebbe anche questa... – Vedo una busta da lettera infilata nel risvolto della confezione, inizio ad aprirla, poi mi fermo. Preferisco leggerla da sola, a casa, un po' per masochismo e un po' per paura di quello che c'è scritto e di come potrei reagire. 
– Preferisco leggerla da sola, a casa, abbiamo così poco tempo... 
– Come vuoi. L'importante è che poi mi rispondi, e non fai finta di niente. Promesso?
– Promesso.
Mi prende la mano e continuiamo a camminare, avremo fatto già quelli che nella mia testa sono chilometri e chilometri, ma dopo che hai passato circa un anno, un anno e mezzo, a fare la spola tra il letto e il divano, perdi un po' la cognizione dello spazio e delle distanze. 
A proposito di distanze, quelle da colmare tra di noi sembrano tante: la distanza geografica, io qui confinata nella pianura dagli infiniti orizzonti ormai esauriti, lui lì affacciato sul mare con il vento dell'est che gli scompiglia i capelli; poi la differenza di età, quei sei anni che a volte sembrano pochi e a volte vorrei non esistessero, così almeno ci sarebbe una cosa in meno a cui pensare; le nostre famiglie sono radicalmente diverse, e per quanto mi piaccia immaginarmi sradicata, individuale, perché so quanto possano pesare le radici e quanto possano essere marce, toglierti forza anziché nutrirti, trattenerti anziché lasciarti crescere rigogliosa, mi accorgo ogni giorno di quanto reciderle sia complicato, faticoso, un lavoro estenuante su cui tornare e ritornare più volte. Poi sono diverse le nostre scelte di vita: le sue così sicure e ambiziose, così concrete e manifeste; le mie ancora tutte in embrione, ancora da disfare e rifare, perché per tanti anni ho rotolato, avvolta su me stessa, come un gomitolo che non voleva diventar maglione, e ora mi accorgo che inizio a sentire freddo, a desiderare una rotta e un porto a cui attraccare. Mi chiedo se saprà aspettare, se potrà tollerare tutte queste mie incertezze così imbarazzanti, ora che inizio pure ad avere un'età. Faccio fatica a parlargli di certe cose, ho paura di essere giudicata, temo che scopra che sono solo un bluff e che le qualità che vede in me siano sue allucinazioni, perché io riesco a vederle soltanto a volte, quando sono in un certo stato un po' alterato di coscienza. Il resto del tempo vivo in una realtà in cui mi sembra di non valere niente, di non essere all'altezza di nessuno, circondata da persone che valgono e che hanno sguardi ammiccanti e sorrisi sfacciati come in una pubblicità, ora che tutti sono in vetrina. Devi lavorare su te stessa, e peccato che non sia nemmeno un lavoro retribuito, anzi talvolta prevede pure che sia tu a pagare, per aggiustarti, per migliorarti, perché sì, vai bene così come sei, ma in realtà come sei non vai affatto bene e non sarai mai abbastanza per te e per nessuno.


– Quando stai in silenzio così a lungo inizio a preoccuparmi...C'è qualcosa che non va? Posso fare qualcosa per metterti a tuo agio? – mi chiede F. intuendo che quello non era un silenzio di quelli di chi sta bene e si gode anche l'assenza di parole, ma uno di quelli in cui si insinuano gli spifferi e i pensieri intrusivi.
– No no, niente.
– Quando voi donne dite niente...Non c'è da star tranquilli – abbozza un sorriso.
– Intanto voi donne a me non me lo dici – gli rispondo, sorridendo. 
– Suvvia, non te la prendere. È che ti ho vista che ti sei incupita...L'ho notato, hai cambiato proprio espressione. 
F. ha uno sguardo proprio dolce, accogliente, non ci trovi cattiveria nei suoi occhi, neanche quando è arrabbiato: al massimo si adombrano un po' di delusione, si offuscano di dispiacere, ma non scorgerai mai superbia o sarcasmo. 
Vorrei non dover ripartire così presto, vorrei annullare almeno una di tutte le nostre distanze, portarlo con me, restare qui, non lasciare che tutti questi stupidi chilometri si mettano di nuovo in mezzo. 
Vorrei non dover fare a meno del suo sguardo, della sua voce, delle sue mani. 





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