venerdì 17 aprile 2020

Identità e Moda - La moda come forma di vita che nasce dalle opposte tendenze all'uguaglianza sociale e alla differenziazione individuale



Ritratto di Emilie Floge, Gustav Klimt, 1902



L'identità è sempre in qualche modo "doppia", perché consiste in un gioco continuo di integrazione e alienazione, di identificazione e differenziazione. Come spiega il filosofo e sociologo Georg Simmel nel suo saggio del 1885, la moda riassume perfettamente in sé questo dualismo: da un lato, attraverso la tendenza psicologica all'imitazione, essa risponde all'impulso dell'individuo di coesione e aderenza a un gruppo sociale delimitato, quel bisogno di uniformarsi e assumere modelli precostituiti che ci libera dalla responsabilità delle nostre scelte. Dall'altro lato essa soddisfa l'esigenza individuale di distinguersi, di far emergere e accentuare la propria personalità. Questi due momenti compresenti, di imitazione e separazione, sono egualmente necessari alla creazione e permanenza del fenomeno moda:


"Quando mancherà anche una sola delle due tendenze sociali che devono convergere per creare la moda, il bisogno di coesione da un lato, dall'altro quello di differenziazione, la creazione della moda cesserà e sarà la fine del suo regno". ( La moda, Georg Simmel, 1885)


Parlare di regno amministrato prepotentemente dalla moda significa per Simmel riconoscere, già al suo tempo, quanto la moda influenzi l'agire dell'individuo non solo in quei campi che tradizionalmente le sono congeniti, quali il vestire, ma anche in campi della vita nei quali i contenuti dovrebbero prevalere sulla forma: la religione, la filosofia, persino il socialismo e l'individualismo sono diventati, secondo il filosofo, cose di moda.


"...in quanto moda agisce soltanto quando l'indipendenza nei confronti di ogni altra motivazione diviene positivamente sensibile..." 


La moda, per esistere, non deve farsi portatrice di messaggi e contenuti (e talvolta quando lo fa è soprattutto per esigenze commerciali), né rispondere necessariamente a finalità pratiche o estetiche: spesso essa propone e impone oggetti che sfuggono a ogni utilità pratica e sembrano inseguire "il brutto" piuttosto che "il bello". Questa noncuranza del fine, persino estetico, e l'arbitrarietà con cui essa accoglie sotto la sua ala protettrice talvolta una tendenza, talvolta quella opposta, quasi seguendo il criterio di casualità, dimostra come la moda sia esclusivamente il prodotto di necessità sociali e psicologiche. Essa continua a vivere e ad esercitare la sua influenza sulla base della sua polarità imitazione-distinzione, coesione-esclusione, definendo così raggruppamenti sociali.


"La moda significa da un lato coesione di quanti si trovano allo stesso livello sociale, unità di una cerchia sociale da essa caratterizzata, dall'altro chiusura di questo gruppo nei confronti dei gradi sociali inferiori (...) Le mode della classe più elevata si distinguono da quelle della classe inferiore e vengono abbandonate nel momento in cui quest'ultima comincia a farle proprie". 


Non appena le classi inferiori si appropriano delle mode delle classi superiori, l'unità di reciproca appartenenza delle classi superiori viene spezzata ed esse devono puntare a nuove mode con le quali differenziarsi nuovamente dalle masse. Ogni moda è infatti temporanea, il suo fascino sta nella fugacità, in una morte annunciata già al momento della sua nascita.
E nemmeno chi si ritiene fuori dalle logiche della moda viene realmente risparmiato dalla loro influenza:


"Chi di proposito è fuori moda accetta il contenuto sociale come il maniaco della moda, ma a differenza di quest'ultimo, che lo forma nella categoria dell'intensificazione, egli lo plasma in quella della negazione. Vestirsi fuori moda può diventare di moda in intere cerchie di una società estesa".




Il diavolo veste Prada, 2006 



La fugacità è in realtà una cosa che, personalmente, non ho mai amato della moda, motivo per cui ho sempre trovato più naturale rispecchiarmi nella celebre citazione di Coco Chanel, "La moda passa, lo stile resta"; mi interessano relativamente i trend di stagione, trovo sciocca la deliberazione del "colore dell'anno", non credo nell'abdicare al proprio gusto personale in ottemperanza ai dettami correnti.
Mi piace invece la possibilità che la moda conferisce ad ognuno di ricavarsi una nicchia, un proprio mondo in cui rispecchiarsi, un proprio linguaggio con cui esprimersi.
La logica consumistica della moda non gode tra l'altro di un'aspettativa di vita particolarmente lunga, non è più sostenibile, per ragioni economiche, ambientali, etiche, di buon senso, come recentemente ha ricordato Giorgio Armani sulla rivista WWD Women's Wear Daily. Nella sua lettera aperta al mondo della moda, Armani racconta con onestà la follia del sistema moda attuale, caratterizzato da ritmi di produzione estenuanti, ridondanza, eccessi, e denuncia la necessità di rallentare, ridurre gli sprechi, ridare valore al lusso, che ha bisogno di tempo per essere creato e apprezzato. Lo stilista ribadisce la sua idea di un'eleganza atemporale e il suo impegno nella realizzazione di capi d'abbigliamento che durino nel tempo. Come a suggerirci che la strada verso il futuro non è da percorrere di corsa, ma ritrovando un ritmo più lento, più umano.




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