domenica 2 febbraio 2020

Il Male



Una, due, tre, quattro...Dodici, tredici, quattordici... 
Il lavandino gocciolava ancora, che stillicidio. Ogni goccia riecheggiava nel vuoto del silenzio con un rimbombo assordante. Qualche gatto randagio era impegnato nel solito fight club di cui mi arrivavano strilli soffocati e rantoli inquietanti, altro che fusa. L'irrigatore dei vicini era partito, puntuale, alle tre. Ecco un'altra notte insonne. 


Non sai mai quando torna a trovarti. Ti aspetta nel buio, sotto il letto, dietro all'anta dell'armadio o riflessa in uno specchio. Magari per un po' non si fa viva e ti illudi che non ne sentirai più parlare e potrai andare avanti con i tuoi giorni e le tue notti, come una persona qualunque, ricacciando in gola l'angoscia, inghiottendo a fatica l'ansia, parando le paranoie con l'uso sapiente di razionalità e distrazioni a buon mercato. Eppure, prima o poi, ritorna. E quell'insonnia lì è un viaggio di sola andata per l'inferno. Gli occhi cerchiati, le palpebre pesanti e immobili, la fronte corrugata dai troppi pensieri, il respiro corto per i ricordi che come fantasmi tornano a tormentarti, le gambe che tremano per le ombre del futuro che ti aspettano minacciose dietro ogni angolo. Quell'inferno non ci tenevo proprio a riviverlo. Avrei approfittato della notte vigile per lavorare al mio romanzo. Così allungai il braccio verso l'interruttore dell'abat-jour e quando questa si accese riuscii a trattenere un grido, ma non un conato di disgusto. Sul parquet mogano scuro strisciava e avanzava lento verso di me...Un serpente! Ritrassi d'istinto le gambe e le abbracciai al petto, poi i secondi divennero ore e il mio respiro si fece apnea. Lo fissavo farsi strada silenzioso verso il mio letto e il mio corpo era immobilizzato, come già infettato dal suo morso. Chiusi gli occhi per riprendere fiato, e quando li riaprii il serpente non c'era più. Il mio letto, il cassettone sulla destra con le foto di me e Luca insieme, i giornali sparsi sul pavimento, sul comodino il blocco con gli appunti per il mio romanzo: tutto era lì, inviolato e rassicurante ritratto di normalità. Una normale notte insonne. Certo che la testa iniziava a vacillare, mi giocava brutti scherzi, dovevo dormire, per forza. 
Mi rigirai ancora un po' nel letto, lasciai accesa l'abat-jour, poi la spensi, la riaccesi, e così via seguendo il ticchettio di un orologio impazzito. Poi, stremata, mi addormentai. 
La mattina dopo mi svegliai esausta, nella testa ancora il ricordo silenzioso e pesante di quell'orribile serpente che strisciava. Lavorai tutto il giorno, ché il mondo non si ferma per consolarti e ascoltare i tuoi incubi, il mondo non sa dei tuoi incubi. Quella notte, sarà stato il sonno arretrato, mi addormentai subito e senza fatica; ma appena chiusi gli occhi si aprì il sipario sulla stessa scena: era di nuovo lì, quel corpo informe e viscido, i piccoli occhi vitrei, e la coda macchiata di cui non vedevo la fine. Cercavo di convincermi che fosse solo un incubo, ma più lui si avvicinava più sembrava reale: attorcigliandosi sulla ringhiera del letto ai miei piedi, risalì, e sentivo il peso del solco che lasciava sul lenzuolo, mentre strisciava verso di me, emettendo un sinistro fruscio. Ero di nuovo intrappolata in quell'angoscia che non lascia via di fuga, paralizzata su un letto da cui non riuscivo ad alzarmi, e davanti a me il Male che guadagnava terreno. Un rumore improvviso e fragoroso mi svegliò dall'incubo: aprii gli occhi di scatto e vidi che una mensola della libreria aveva ceduto, e tutti i libri erano caduti sul pavimento. L'avrei fatta aggiustare, il giorno dopo, o un giorno. Mi rimisi a dormire.


Gli incubi continuarono per tutto l'autunno, mesi di notti insonni e giorni stanchi, vissuti a metà, con l'inferno di quella visione mostruosa che ogni notte tornava a tormentarmi. Chiesi aiuto a un'amica psicologa che non vedevo da anni, e che incontrai per caso un mercoledì di pioggia incessante, mentre camminavo verso il lavoro. Mi disse di passare in studio da lei e ascoltando il mio racconto sentenziò suadente:

- Siamo noi che scegliamo di dare energia a certe cose piuttosto che ad altre...Tu stai dando energia a questo tuo incubo, ci pensi continuamente, con insistenza, e così lo nutri sempre di più, diventa più forte e continuerà a tornare, perché sei tu che glielo consenti.

Mi guardavo attorno sperduta e un po' imbarazzata. Non solo il mio incubo mi intossicava l'esistenza, ma ero anche io la causa di tutto, ero io a permettere che accadesse. Tra lo scettico e il disperato, le chiesi:

- Cosa posso fare perché non torni?

- Semplice. Devi dare energia ad altre cose, fare entrare cose belle nella tua vita, cose che ti facciano emozionare e sentire felice. Vedrai che se ti concentrerai sulle cose belle, se darai energia a quelle, il tuo incubo svanirà.

La ringraziai e mi chiusi la porta alle spalle. Forse poteva aver ragione. Mi sembrava tutto un po' troppo facile, un po' new age, un po' retorico, ma al tempo stesso mi attraeva l'idea di avere in me tutto quel potere: il potere di cambiare le cose con la forza del pensiero, il potere di guarire.
Decisi di provare quella terapia senza controindicazioni, cercando di sfrattare dal mio cuore quella sfiducia e quell'angoscia che lo abitavano, coinquiline della paura, con cui sempre più spesso si scambiavano gomitate d'intesa.


Passarono i mesi e tutto cambiò: il lavoro, gli amici, il mio modo di vedere le cose...Ero andata a vivere con Luca, non andavo più a lavoro controvoglia, stare con gli altri mi faceva piacere, mi sentivo bene. E non facevo più quell'incubo da tanto tempo. Quel venerdì andai a letto prima del solito, verso le undici.

- E quella roba cos'è?! - mi chiese Luca fingendosi scandalizzato e trattenendo un sorriso canzonatorio.

- È una maschera idratante al miele... - scandii sospirando, rassegnata alle sue amorevoli prese in giro.

- Ma perché è verde?

- Ci sono dei cetrioli...Leniscono la pelle...

Partì a sfottermi per la parola “leniscono” e dopo un quarto d'ora di sberleffi ci addormentammo.

E quella roba cos'è? Cos'ho sulla faccia? Ssembro uno zombie con quel colorito verdino, sspento, inquietante...Lascia che mi avvicini un po' per vedere meglio...Sssì, ssembro proprio uno di quei morti viventi che escono dai cimiteri di notte e vagano per la città, brandelli di corpi in cerca di ssangue umano...Sssai che un po' di ssangue farebbe piacere anche a me...Sssolo un poco, ssolo un morsssetto...

Mi guardai il braccio spaventata e il serpente era lì, mi strisciava addosso seguendo le curve delle vene; il suo corpo srotolato su tutto il letto, la sua testa a pochi centimetri da me. La linguetta sibilò con uno scatto che mi fece rabbrividire; puntò i dentini aguzzi contro l'incavo del mio braccio e mi morse. E dal morso aperto e sanguinante si infilò fino a penetrare in tutto il mio corpo e capii che ormai era troppo tardi. Il Male era dentro di me.






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