mercoledì 23 dicembre 2020

Un passo alla volta




Il sole è già tramontato e la città è avvolta da nuvole allungate e rossicce. Per le strade la gente cammina mani in tasca e mascherina, dai marciapiedi rimbalzano i "Buone feste!", "Salutami i tuoi!", "Auguri!", e anche qualche "Speriamo bene!". Cammino anch'io mani in tasca e mascherina, un volto senza volto tra i tanti; mi sono accorta di gesticolare di più, di essere costretta ad alzare un po' la voce, di sentirmi più sicura nel parlare quando a parlare sono gli occhi. 
Lente di ingrandimento, cassa di risonanza, specchio ingranditore. Chi è gentile sembra volerlo essere di più, come se ogni sorriso cercasse di riscattarsi dal peso di troppi giorni tristi; chi è scontroso non può fare a meno di esserlo di più, perché la sua rabbia è troppa da contenere. Mi guardo intorno e mi guardo dentro e non so dire dove veda più confusione: ci sono attimi di calma apparente, al confine con la negazione, e poi ogni tanto c'è la realtà che ti prende a morsi. Come sempre, è più il tempo che passo a riflettere di quello che passo ad agire, e riflettere è un termine troppo nobile per quello che poi, più propriamente, è rimuginare. Mancano solo due giorni a Natale e sono qui a rimuginare.
Quest'anno farò io il cenone, e se avete ricette da consigliare questo è il momento di tirarle fuori perché ho i surgelati che mi guardano ammiccando dal congelatore, e non è facile per un surgelato ammiccare, capite che la situazione è drammatica. Ho parcheggiato la macchina a chilometri di distanza per non pagare le righe blu, ma anche perché ho bisogno di camminare. Le vie del centro sono illuminate come sempre. C'è la fila fuori dalla pescheria: signori con i capelli bianchi e la coppola di feltro commentano in dialetto le novità del giorno, pressappoco identiche a quelle del giorno prima. Non sopporto più nemmeno il dialetto di questa città. A volte mi sento un fantasma che torna a guardare la sua vita passata e mi assale una tristezza indicibile, che però io cercherò comunque di dire e descrivere, pur di non lasciarla lì nel petto a ristagnare come un acquitrino. 
La gelateria fa l'asporto, ecco, questa è una notizia capace di rincuorarmi. Dei ragazzini sistemati nelle pose più improbabili sui muretti stanno mangiando il gelato e alternano parole e bestemmie.
Continuo a camminare e il freddo sembra non ferire, i pensieri mi arrivano dai contorni più netti, una lucidità che ho solo in alcuni momenti, purtroppo. Mi ero promessa tante cose, mi chiedo se farò in tempo. Mi chiedo soprattutto quando capirò che il tempo è questo istante, che non ci sono davvero giorni di attesa prima di un evento, giorni inutili, giorni sospesi. Queste non sono le prove prima della vita vera, questa è già la vita vera, e io la sto sprecando nella paura e nell'attesa. Se solo fare liste bastasse per mettere davvero le cose in ordine, a quest'ora avrei conquistato il mondo.  
– Attenzione! – un signore mi passa accanto urtandomi con pacchi e pacchetti. Decido di fermarmi in libreria per mettere un po' a riposo le angosce. Le librerie per me sono il luogo delle possibilità, un posto di fermento e pace insieme: i libri non ti aggrediscono, non ci sono cartelli che strillano slogan e offerte imperdibili, luce sparata o musica ingombrante. I libri hanno una loro dignità e riservatezza, una loro eleganza. Hanno tanto da offrirti ma non si impongono: rimangono lì, ti aspettano, si fanno trovare quando tu li cerchi. E non è detto che ti capiti il libro giusto al momento giusto, però quando questo succede, l'episodio è da aggiungere alla lista dei piccoli momenti di felicità. Una di quelle cose che ti fanno credere che ci sia ancora magia e bellezza, e che non sei mai davvero solo. Passeggio tra gli scaffali e mi chiedo se oggi farò qualche incontro magico, se la copertina giusta saprà attrarmi a sé, se troverò pagine e parole capaci di portarmi via da qui, di farmi respirare un po' meglio. Prendo in mano un libro di poesie di Chandra Livia Candiani, che ho conosciuto con il meraviglioso libro Il silenzio è cosa viva, e decido che verrà a casa con me. Poi scelgo una raccolta di racconti che mi ha conquistata con poche parole ben appuntite nella quarta di copertina. Infine, c'è il libro di Ambra, non posso non prenderlo. Mi ricordo anche dei diari di Kurt Cobain da regalare a mio fratello, alibi perfetto. 
La libreria è popolata ma non affollata, respira piano e il suo battito è lento ma costante. La lascio con un sorriso rinfrancato, è ora di tornare a casa. 





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