venerdì 6 dicembre 2019

Avanti la prossima!


Stipata contro le pareti dell’agenzia pubblicitaria, parlare di bassorilievo sarebbe appropriato, Janet aspettava l’ennesimo casting, in fila per due col resto di più di duecento modelle lasciate fuori, poco adatte, senza la giusta “personalità”. La ragazza che aveva a fianco aveva fatto il provino con lei, una pubblicità dove le due amiche si scambiano le ultime dritte su come sopravvivere alle insidie della vita di donne, un copione da farla vomitare, forse era per questo che i bagni lì erano sempre occupati. Adesso la sua compagna di avventura era testa china su una rivista , di quelle a figure, e non le prestava molta attenzione. Janet si guardò attorno sbuffando, e davanti a lei vide un’altra esile figura sbuffare egualmente; sentendosi riflessa in uno specchio che le restituiva un’immagine sgradevole, snob e annoiata, raddrizzò la schiena e assunse un’aria compita. Dopotutto alla sua età tante altre ragazze affrontavano prove ben più umilianti per ottenere un qualche lavoro, a lei era toccato tutt’al più fingere costipazione, e poi sollievo agguantando una scatoletta di cartone, oppure correre su uno sfondo verde sorridendo ebete, o ricordare alle donne in ascolto quanto valessero. Niente di così insopportabile, dopotutto. “Devi essere grata del lavoro che fai…E ringraziare di essere nata così bella!”, le ricordava puntuale sua sorella al telefono, quando Janet la chiamava piangente su Skype, per raccontarle le ultime peripezie tra uno shooting e un casting. Essere grata e ringraziare. Ringraziare per i suoi capelli soffici e lucenti anche senza il balsamo eletto prodotto dell’anno, ringraziare per gli occhioni vellutati che riscuotevano inevitabilmente consensi anche nelle situazioni più critiche, ringraziare anche per le labbra a cuore, broncio gentile e invitante, per le gambe lunghe che sfilavano in equilibrio su tacchi arroganti, per la pelle ambrata e morbida, che sembrava scolpita nel burro e per il suo corpo modellato ad arte, destinato a suscitare stupore e invidia. Anzi così bella da non invidiarla nemmeno, solo da chiedersi cosa si prova ad alzarsi la mattina e a guardarsi allo specchio. E sembrava retorica raccontare di come gli specchi in realtà siano troppi, ovunque, e sempre distorti, quando si fa la modella. Era uno specchio la parte alta del forno, il frigorifero nuovo, la borsa shopper di vernice, le vetrine dei negozi, ovviamente, e le lenti degli occhiali da sole da diva che tutte le sue amiche portavano. A lamentarsi sembrava proprio di non essere abbastanza grate.
La fila procedeva lentamente e il chiacchiericcio si era quietato. Janet sentiva la mancanza di casa.
A volte aveva trovato una sua nicchia anche a Milano, con le amiche del Brasile, o le ragazze che come lei venivano dagli Stati Uniti; c’era una che era stata Miss Pasadena due anni prima, con lei aveva abbastanza legato. Ma tante altre volte sperimentava un senso di estraneità, come se si trovasse lì perché quella era l’unica cosa che poteva fare, non perché fosse quello che desiderava. Se il carattere è il destino di un uomo, forse l’aspetto fisico è il destino di una donna.
Next please, la prossima!”, urlò una voce un po’ roca di donna. Ora mancavano solo un paio di ragazze, e dopo sarebbe toccato a Janet; ultimo sguardo al cellulare per controllare se c’erano messaggi, damn it erano già le cinque. I tacchi non le facevano male perché c’era abituata, ma comunque aveva voglia di tornare a casa. Ora le ragazze avevano ricominciato a bisbigliare fittamente, come in un sottobosco di ninfe un po’ annoiate. “Neext please!”. Era il suo turno. “Ragazze, abbiamo rivisto la vostra pubblicità ed era ok, veramente, giusto spirito, giusti tempi, bel sorriso, siete carine, davvero. Tu sei inglese, giusto?”. ”Americana”, rispose Janet. “Ok Janet, vai bene, l’unica cosa…Dovresti tagliarti i capelli, non è un problema, vero? Sai, volevamo qualcosa più sul tipo, del genere…”. Finito il colloquio le avevano già fissato un appuntamento dal parrucchiere, avrebbero girato lo spot la mattina seguente. Janet ci andò di corsa, anche se un po’ le dispiaceva tagliare di netto i suoi capelli, una delle cose a cui era più affezionata: li nutriva con olio di jojoba e di tiaré, li pettinava con spazzole che costavano quanto il suo affitto, ma Kendra, la sua coinquilina, giurava che erano le migliori, e li intrecciava quando era annoiata e si tagliuzzava le doppie punte come personale antistress. “Ma sì, una cosa più fresca, più summer!!”, squittiva il suo parrucchiere con una convinzione velata di aggressività. Una volta finito, Janet si incamminò verso casa. Salì al volo sul tram e si sedette sospirando. Dopotutto era andata bene. Aveva ottenuto il lavoro, doveva essere felice, grata. Appena entrata si precipitò al pc per chiamare a casa e informare sua sorella delle good news. Sullo schermo Kate le sorrideva contenta: “Ehi, aspetta, c’è anche mamma qui, è venuta a trovarmi, aspetta che la chiamo…Mooooom!!!”. “Ciao Janet, come va, tutto bene?”. “Sì mamma, tutto ok!”. “Mah…Hai tagliato i capelli! Sono cortissimi!!”. “Già, oggi..”.
 “Che peccato, era la cosa più bella che avevi!”.



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