sabato 14 dicembre 2019

La vecchia Mabel



Fatti di cronaca neri e viscidi come il petrolio, notizie dell'ultima notte, la radio che gracida, la televisione che strilla, i giornali che non si vendono, i promemoria che si dimenticano.
Le solite facce deformate e le solite voci distorte e il loro odore che ti resta addosso. Case sporche, vestiti strappati e letti da rifare. Ho comprato un diario nuovo per iniziare l'anno in bianco, ho un taccuino di appunti senza idee, la testa vuota, il cuore vuoto. Per gli indiani la sede della coscienza era il cuore, non la testa.
Parole, frasi, canzoni, come faceva quella canzone? Era un motivetto allegro, eppure a me metteva tristezza. “Ti piacerà, tesoro, ti piacerà, vedrai”. Le mie emozioni pulsano per trovare una forma e invece si incarnano in sintomi e le ossa fanno male, le gambe tremolano, ho i nervi tesi e i muscoli molli. Sono stanca delle torri di parole che costruisco per arrivare al cielo, quando poi mi affaccio sempre sul baratro. Sono stanca delle storie che intesso per rivestire di fascino e mistero questa vita infranta e squallida. Non mi interessa più piacere, intrattenere, addirittura sedurre.
Che importanza ha la seduzione quando lo sguardo che ti tiene in vita resta su di te solo per un istante? E ogni volta ricominciare il giro di giostra, imparare le battute, diventare la bambola di pezza di qualcun altro. Sono mostruosa e rotta, non le vedi le cuciture slabbrate, i punti della spillatrice che mi tengono insieme i pezzi, gli organi che fanno a fatica il loro lavoro? Dicembre era una promessa di felicità, e si è trasformato in una maledizione d'odio. Ho cercato vie di fuga tutta la vita, mi sono rannicchiata negli angoli, nessuno può metterti in un angolo, ho atteso, immaginato e sperato. Ma è sempre lo stesso incubo da cui non riesco a svegliarmi.


Mabel era un po' brilla quella notte, scriveva con la sinistra perché la mano destra era fasciata e storpia dopo la caduta, e questo rendeva la sua calligrafia spezzata e tremolante come la sua voce.

- Ehi, non lo vedi che il mio bicchiere è vuoto! - gridò al barista, sollevando per un attimo la penna nera dal tovagliolino su cui stava scrivendo freneticamente.

- Tra poco chiudiamo – la ammonì il barista mentre le versava l'ennesimo bicchiere di ambra liquida.

- Sono solo le tre...Vuoi farmi credere che voi di solito chiudete alle tre?

Mabel si appoggiò sul bancone con intento lascivo, ma in quelle condizioni appariva solo goffa.
I suoi occhi liquidi però luccicavano così tanto da incantarti; l'avresti seguita ovunque, la vecchia Mabel, con quelle gambe sinuose capaci di flettersi in cento modi diversi, le mani svelte, gli occhioni languidi e le ciglia come ventagli di pizzo nero. Aveva fatto da poco trent'anni e sentiva di averne almeno cento. Aveva conosciuto tutti i tipi della città e molti delle città vicine, aveva ascoltato le loro storie e aveva creduto a tutto, anche a chi diceva di amarla. Ogni sera una vita diversa, ogni sera la stessa vita. Un copione esausto che si era stancata di recitare.

- Ehi, Mabel, era un po' che non ti si vedeva da queste parti...Dove lo passi il Natale?

- Lo passo con te Freddie, se vuoi lo passo con te...Mi vuoi, vero?

- Certo! Ma prima devo chiedere a mia moglie! - scoppiò in una grassa risata.

Rise anche lei, e continuò a scrivere sul suo tovagliolino ora umido.


Alle quattro di mattina l'ultima ombra solitaria uscì dal bar in una scia di fumo. Mabel si era addormentata sul bancone, gli occhi pesti e il mascara colato, la parrucca nera leggermente spostata, un sorriso macabro sul volto.

“Sembrava che dormisse! Ero convinto che stesse dormendo!”, avrebbe detto il barista alla polizia, poco dopo.

La vecchia Mabel finalmente si era svegliata.






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