martedì 3 dicembre 2019

Questa non è una storia d'amore (parte 1)


 
In questo racconto sono presenti: un uomo, una donna, un ascensore.

Nessuno è stato maltrattato per la realizzazione di questa storia, i nostri protagonisti si sono prestati volontariamente dopo aver firmato una liberatoria scritta in braille.

Avvertenze: questa non è una storia d'amore.



Ore 13:00
 
L'appuntamento era alle quattordici. Avrebbe fatto in tempo a pranzare sospesa tra le voci della tv in camera e lo scroscio dell'acqua del bagno dalla temperatura transiberiana. Ci voleva un po' prima che l'acqua raggiungesse una temperatura adatta a chi non desidera dire addio al mondo per ipotermia. Tempo utile per truccarsi con la mano sinistra e asciugarsi i capelli con la mano destra. Avrebbe voluto aggiustarsi le sopracciglia, ma questi dettagli sono un lusso quando hai i secondi contati e ogni ticchettio di orologio ti separa dal possibile inizio della tua nuova vita.


13:40

Inciampò nella solita piastrella sbeccata del bagno. E per la foga di imprecare sbatté la testa contro l'anta dell'armadietto dei medicinali.


- Possibile che non la chiudi mai?

- Chiuda.

- Cosa?

- Possibile che tu non la chiuda mai? - ripeté lei con il principio di un ghigno che le solleticava l'angolo della bocca.


- Ah sì? Vuoi fare la maestrina con me? Ridillo! Ridillo se hai il coraggio!


Lui che la stringe, lei che lo minaccia con la lacca spray sopravvissuta agli anni ottanta, lui che la prende in braccio e la porta di peso nella doccia. Scene già viste, già lette, già ricordate.

Il passato ti tiene sempre in ostaggio, e sembra tornare più prepotente e subdolo proprio quando sei sul punto di sfondare il muro di cartapesta e passare dall'altra parte, verso una nuova realtà, o una nuova finzione.
 
 
13:45

Il completo appena ritirato dalla lavanderia sapeva ancora di sigaretta, accennò una smorfia di disgusto e sperò che lei non se ne accorgesse. Un ultimo sguardo allo specchio e con uno scatto si aggiustò i polsini della camicia bianca. Mancavano pochi minuti all'appuntamento, ma il cancello automatico si muoveva con la sua imperturbabile lentezza. Altrettanto impassibile, lui suonò un paio di volte il clacson, inviando al nulla il suo disappunto. Per fortuna il posto era vicino, e quando parcheggiò l'Audi sotto al palazzo erano le quattordici in punto.


14:05


14:10


14:15

Lei gli si avvicinò stretta nell'impermeabile un po' troppo leggero per quel vento di novembre e timidamente tese la mano per salutarlo. Lui rispose con una stretta di mano vigorosa e un sorriso di circostanza.

- Freddino, oggi, eh?

- Già.

Ma seriamente? Ma non vorrete mica parlare del tempo?!

- Scusami, ci ho messo un po'…

- Nessun problema...Allora...Saliamo?


Era ormai la quarta o quinta volta che si vedevano, ma per lei era come se si fossero appena incontrati: la curiosità era come un prurito che doveva placare, l'ansia una sciarpa troppo stretta alla gola. Perché non aveva preso una sciarpa, maledizione, quel novembre schiaffeggiava senza tregua.


- Ascensore? O facciamo le scale?

- Meglio ascensore, è all'ultimo piano!



14:24

In ascensore si scambiarono sguardi imbarazzati, non sapevano cosa dirsi e la carta del meteo era già stata giocata. Lei si addossò all'angolo angusto di quello spazio già ristretto, lui guardò l'orologio, impaziente. Ad ogni piano l'ansia saliva, le aspettative prendevano le mille strade percorribili, agitando nella mente di lei una fantasia caleidoscopica e poi il buio.


Buio.


14:27 ed era tutto buio.

L'ascensore si era bloccato.



(continua…)



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