martedì 24 dicembre 2019

Natale a casa (parte 3)



- Ragazze, quando avete finito andate ad apparecchiare, per piacere? La tovaglia è nel secondo cassetto, sotto la tv...E ricordatevi il mollettonee... - urla mamma dalla cucina, mentre noi già in sala apriamo tutti i cassetti possibili e ridacchiamo per la parola “mollettone”.

- Mamma per quantii?

- Per diecii!

- Diecii??

Guardo Ila e lei alza le spalle.

- Mamma, come facciamo ad essere dieci?

- Eh, io, papà, tu, Ilaria, Chiara, Paolo e Lucia, zia Mara, zio Oscar, Federica, dieci!

- Ok... - dico poco convinta – Quindi Chiara viene da sola?

- Ah sì, sai come la pensa papà…

- Meglio così…

Davvero meglio così, che certe teste di cazzo preferisco non vederle, almeno a Natale.

- Dieci è un buon numero...Poi possiamo giocare a Saltinmente o Trivial Pursuit e fare squadre da cinque…

- Come fai squadre da cinque, scusa? Non sono un po' troppe persone?

- Eh lo so, però io e Federica partiamo svantaggiate perché siamo più piccole...Poi anche papà e zio Oscar non è che ne sanno tanto…

Trattengo a stento un sorriso. Non ce la vedo Ilaria a partire svantaggiata, proprio in nessuna cosa. Potrebbe essere una di quelle ragazzine che si laureano a sedici anni e a diciotto si candidano in parlamento, ma cerco di non dire cose di questo tipo, perché anch'io da piccola ero additata come genio, e crescendo non è che le cose siano andate esattamente in quella direzione. Il fatto è che da adulti non ci aspettiamo poi molto dai bambini, e ogni cosa che fanno ci sembra oltremodo speciale, soprattutto se sono personcine a cui vogliamo bene. Probabilmente Ila diventerà una ragazza piuttosto sveglia e intelligente, niente di più, e andrà più che bene così, e almeno non avrà i complessi di chi era destinata a diventare molto altro. Certo, questo è quello che cerco di fare io, ovviamente mia madre la pone sullo stesso piedistallo su cui poneva me, e non si sta bene su un piedistallo troppo a lungo, finisce sempre che ti annoi o ti gira la testa, o ti accorgi che la vita non si vive immobili sui piedistalli, ma si guadagna metro per metro, nel sudore e nella polvere, ed è una sfida con te stesso più che con gli altri, perché a fare troppi confronti finisci per accorgerti che ci sarà sempre qualcuno più bravo di te.

- Allora, papà a capotavola, giusto?

- Giusto, Capitano.

- Paolo e Lucia chiaramente vicini...Chiara invece la mettiamo qui…

- Sei contenta di rivederla?

- Chiara?

- Ovvio.

- Beh sì, certo...Soprattutto se viene da sola…

Il ragazzo di Chiara, o forse dovremmo dire uomo, o forse subumano, è una di quelle persone che a volte incontri nei treni o negli aeroporti, di quelli con la ventiquattrore incollata alle mani, l'orologio costoso e la cravatta troppo stretta, con la faccia arcigna, sempre impegnato a lamentarsi perché il suo treno o aereo è in ritardo, ed è impensabile che il destino abbia fatto a lui questo grave torto. Ovviamente che tocchi agli altri comuni mortali è normale, ma non dovrebbe mai riguardare lui, che viaggia in prima classe, e ha una ventiquattr'ore, un orologio troppo costoso e una cravatta troppo stretta. Se la stringesse ancora di più farebbe un favore al mondo. Da quando c'è lui, Chiara, che è nostra sorella maggiore, vive come obnubilata da un amore che a me sa troppo di dipendenza, e che quindi disprezzo. Parla come lui, pensa come lui, e addirittura si veste come lui le chiede di vestirsi, roba che un tempo avrebbe considerato da chiodi quanto me. Nelle foto lei non sorride nemmeno più come prima; tutti dicono che si vede che ha il viso rilassato e che è felice, ma a me non sembra felice in quelle foto, mi sembra proprio un'esaltata. Mia madre venera chiunque si avvicini a noi, come se fosse un sacrificio degno di plauso esagerato, mio padre invece, in parte per una generale e un po' vigliacca paura di perderci, e in parte perché è più sano di mente, ha capito che quel ragazzo, uomo, entità, è inquietante e oscuro come un becchino di una qualche campagna inglese, capace solo di scavare fosse e di buttarci dentro cadaveri. Quello di mia sorella metaforicamente parlando c'è già finito lì dentro; assurdo come una persona possa rubarti la tua identità e tu stia pure a guardare e a sorridere beatamente. Da quando sta con lui, lei ci chiama sempre meno, anzi dimentichiamo gli eufemismi, non ci chiama affatto. Eppure eravamo così legate, io e lei “unite come i lacci di una scarpa”. Era una dedica che mi aveva scritto in quinta elementare, o giù di lì. Io e lei “amiche per sempre”, come è segnato a uniposca su quasi tutti i quaderni di scuola, delle elementari e delle medie. Cambia tutto, certo, però almeno a Natale stiamo tutti insieme, e lui, il becchino, non ci sarà. È solo una cosa per la famiglia, non può farne parte chiunque.

- Mancano i bicchieri! Non so però dove sono quelli col bordo d'oro che usiamo sempre a Natale…

- Mamma, dove sono i bicchieri di Natale? - le chiedo affacciandomi alla porta della cucina.

- Nella vetrinetta nuova, chiedi a Ilaria che lo sa...Oh maledizione, chiudi, chiudi la porta!!

Chiudo in fretta prima che mia madre mi trascini in quello che sembra l'inizio di una delle sue crisi isteriche, scaturite sempre dai più ignobili motivi.

- Sono nella vetrinetta nuova.

- Ah, giusto! Li devi prendere tu però, io non ci arrivo... - mi dice indicando la mensola più alta di una patetica, tragicomica vetrinetta che avevo chissà come ignorato.

- Ehi ma avete messo qui le foto...? - chiedo un po' spaesata. Gli album con le foto di famiglia sono sempre stati nel mobile di sopra, nella stanza di mamma.

- Sì, mamma le ha spostate...Dopo ti faccio vedere tutte le cose nuove che ci sono...Però devi indovinare...

Adora farmi entrare in una stanza e chiedermi: “Dai, cosa c'è di diverso, indovina!”, e adora che io non ci arrivi mai, e le provi tutte, anche quelle più stupide, ad esempio dico: “Il termosifone”, o “Il ragno”, se magari c'è un ragno sul soffitto. E lei ride come se fossero davvero cose divertenti.

- Sì, dopo voglio vedere tutto...- dico un po' distratta. Davvero vorrei non perdermi niente, neanche le cose più stupide. Non resisto e apro uno degli album grandi di foto.

- Civvia dobbiamo finire di apparecchiare... - si lamenta debolmente Ilaria.

- Sì, un attimo…

- Allora vieni a sederti sul divano... - mi dice quando si accorge che proprio non ce la fa a staccarmi dall'incantesimo delle foto di famiglia.

Mi metto a gambe incrociate sul divano, Ila accanto a me scruta un po' le foto, un po' il mio viso.
Queste foto mi piacciono da morire, anche se a volte, come tutte le foto, sanno mentire. Sono tutti giovani, noi siamo piccoli, ci siamo tutti. In quel periodo non mi chiedevo certo quale fosse il mio posto, ero nell'unico luogo possibile, e non c'erano altre città, altri mondi, altre lingue. La mia realtà era l'unica che esisteva e nel suo piccolo non aveva neppure difetti. Un'utopia che dovrebbe farmi schifo, forse, dovrei rifiutarla, condannarla, eppure mi piace, mi conforta. Una parte di me vorrebbe non aver lasciato mai quella bolla, quel liquido amniotico che mi drogava e mi faceva felice. Forse, una parte di me è davvero ancora lì, a piangere nascosta dietro alla gonna di mamma, o abbracciata al collo di papà, a zoppicare incerta sulla prima spiaggia, o a colmare a rallentatore le distanze tra un divano e l'altro. Sono quella che annusa i fiori del giardino e li saluta con la mano, quella che si mette un dito nel naso distraendo l'attenzione dello spettatore dalla tragica tuta in acetato di Paolo e dalla frangetta troppo corta di Chiara. Sono quella che sorride eccitata per il primo giorno di scuola, quella che suona il piano al concorso nazionale, quella che abbraccia amiche del cuore mai più riviste, quella che, all'improvviso, si copre con una mano e non vuole più farsi fotografare. E allora inizia una serie di foto dal volto coperto, o abbassato, come quello di un carcerato, di un assassino, di un colpevole. E poi dalle foto sparisco del tutto, come un fantasma. Si perdono le tracce dei miei ultimi anni che non sono stati registrati, fissati, conservati. In uno dei passaggi si è perso qualcosa, e ho smesso di crescere, ho bloccato la mia evoluzione e ora sono qui fuori posto e disgustosa come un ibrido. Non ho nessuno che mi ami e che mi conosca davvero, non so fare niente, non sono niente.
E, cosa più grave di tutte, non ho coraggio. Vivo una vita in esilio da me stessa. Non so nemmeno se ci torno all'università, non so perché dovrei farlo, non riesco a pensare a una ragione per alzarmi domani, figuriamoci al futuro.

Sto per chiudere l'album dei dannati ricordi, quando Ilaria indica una foto in particolare e mi chiede:

- Questa chi è?

Ha indicato Caterina.

- È una mia amica...Era una mia amica…

- Non me la ricordo...C'è in un sacco di foto però...Al mare...Anche in quelle di Gardaland…

- Oddio sì...Mi ero dimenticata che eravamo andate a Gardaland...Beh lei non te la puoi ricordare perché eri troppo piccola...Però veniva anche a casa a volte, e tu facevi un casino ogni volta che c'era lei...Le presentavi tutte le tue bambole, i pupazzi, e le altre cose...Andavi avanti per ore, e noi che dovevamo studiare..Però ci facevi anche ridere…

- Poi perché vi siete lasciate?

- Cosa? - chiedo stupita, quasi spaventata.

- Sì, perché non vi vedete più? Perché non siete più amiche? Avete litigato?

- Beh...No, non abbiamo proprio litigato...O forse sì, sì, qualcosa del genere…

- Cioè? - la mia risposta non deve averla convinta molto, e infatti non convince neanche me.

- Non lo so, boh non mi ricordo…

- Beh che bei capelli che ha però…

- Sì, era molto carina...E a scuola le andavano tutti dietro…

- Eri gelosa?

- No, no non ero gelosa…

- Beh scusa anche tu sei carina…

- Sì va beh... Senti, perché non finiamo di apparecchiare?

- Sì, Capitano, sono pronta al suo servizio – risponde Ila mettendosi sull'attenti.

- Dai marinaio, andiamo…

- Avete finitoo? - urla mamma dalla porta.

- Siii! - le rispondiamo noi in coro.

- Il telefonooo!

La voce roca di papà non so da quale antro della casa ci annuncia che sta squillando il telefono; lui non vuole mai rispondere, ma si sgrava di ogni ingrato compito ricordandoci che il telefono sta squillando. Adoro quando squilla, è una di quelle piccole cose che mi emoziona come quando avevo otto anni, e facevamo le corse per andare a rispondere.

- Paolo e Lucia stanno arrivando! - informo gli altri poco dopo aver messo giù. 

- Ahh, mi devo cambiare! - squittisce Ilaria tutta agitata - Mi devo mettere elegante! Mi aiuti? Mi aiuti a fare i capelli?

- Va bene, se non è una cosa troppo complicata…

- Chiamate Papà che si sta bruciando qualcoosaa! - grida mamma dalla cucina.

- Papààà!

- Guardate che sta squillando il telefono!

- Vai tu!

- No, io non vado.

Suonano alla porta.

- Dev'essere la ziaa andate ad aprireee!!!

- La portaaa!

- Zia Mara zia Mara!

- Ciao a tutti, ciao bella! Come va?

Zia, è così bello vederti, ogni volta che ti vedo penso che tu sapresti capirmi, che con te potrei confidarmi, come quando ho detto solo a te che a scuola mi prendevano in giro, che odiavo le medie e che non ci sarei più tornata. E il tuo sorriso accogliente capace di sdrammatizzare tutto mi ha fatto vedere il lato comico della cosa, come se potesse essercene uno, e il tuo buon senso mi ha ricordato che tre anni sarebbero passati in fretta, che tanto valeva concentrarmi su qualcos'altro, e andare per la mia strada, perché non puoi mai accontentare tutti, quindi tanto vale che si fottano. Dicesti proprio così: “Che si fottano”. E io mi stupii e fui così felice. Era come se all'improvviso mi avessi dato un potere nuovo, un'arma per sconfiggerli, per ignorarli. “Vai per la tua strada, che si fottano!”, mi ripetevo ogni volta che ridevano per il mio naso, o miei vestiti, o il mio aspetto o il mio atteggiamento, o per chissà cos'altro che non andava bene. Zia, sei sempre così allegra, così bella, così saggia, perché non posso dirti anche quello che ho in testa adesso, come tutto il resto?

- Auguri a tutti eh! Papà dov'è? - chiede zio Oscar, che senza papà si sente perso.

- È di sopra, adesso scende…

- Vado ad aiutare vostra madre in cucina, la troverò lì, giusto?

- Segui il fumo e la troverai…

- Oddio, e cos'è successo?

- Ma no niente...Credo...Noi dobbiamo andare un attimo su ad aggiustarci i capelli...Torniamo subito!

- Sì, facciamo in un baleno! - assicura Ilaria, e corriamo su per le scale.




(continua...)
 
 
 
 

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