lunedì 23 dicembre 2019

Natale a casa (parte 2)



A casa è già immensamente Natale: l'albero al centro della sala è assediato dagli addobbi, lanciati come molotov, a caso, senza cognizione, ma con la certezza di sollevare fumo e scompiglio. Renne, cervi, alci, vischio, muschio, babbi natale, stelle comete, stelle cadenti, stelle filanti, collane di perle, ghirlande gonfie e fitte come cespugli, e buffe ghirlande spelacchiate che hanno visto tanti Natali di cui ancora non riusciamo a liberarci. Poi pupazzi di neve, neve finta, candele, adoro le candele, lucine colorate e gialle e bianche, a intermittenza o fisse, che riproducono le note di affermate canzoni natalizie. Il nostro albero di Natale fischietta Jingle Bells e mia madre mi abbraccia come se non mi vedesse da decenni. Lacrime, pianti, sospiri, lamenti; quando torni, come stai, perché sei andata via, ma stai mangiando, hai fame, sei dimagrita, quando torni.

- Hai visto che bella la casa quest'anno? L'ho addobbata puntuale l'otto dicembre stavolta...Non sapevo cosa fare, e allora ho iniziato ad addobbare... - mi dice mamma nella fase maniacale del suo disturbo bipolare, mentre mi prepara un tè, dei biscotti, una fetta di torta e una di pandoro.

- Sì, è bella...Sa proprio di festa…

- Vatti a lavare che intanto ti preparo tutto…

Mi faccio la doccia e mi spoglio di tutti i brutti ricordi degli ultimi mesi. Le persone balorde che ho incontrato, gli stronzi, quel professore che mi ha bocciato all'esame dopo solo una domanda, cosa di cui ancora non ho detto niente. Lavo via le alzatacce di mattina, le nottate insonni a fingere di studiare, le attese in stazione e nella metro; scrosto quello che resta delle stronzate che mi ha detto la psicologa, delle storie che mi ha raccontato Giulia, o delle cattiverie che Andrea ha sputato alle mie spalle. Mesi che come scorie finiscono nello scarico, e nelle fogne, l'unico posto che meritano. Tutte le facce che ho indossato rischiando di soffocare si cancellano, sciolte dall'acqua che mi batte forte sul viso; picchia forte che magari mi sveglio, picchia più forte che magari sto meglio.

- Hai finitooo?? - urla mia madre dalla cucina – Posso usare l'acquaa??

Il suo grido mi raggiunge i timpani con il fiotto di un proiettile, le urlo a mia volta un “Siii” che rimbalza e sfonda le pareti. In questa casa urliamo tutti eppure nessuno riesce mai a sentire l'altro.
È come se fossimo assorbiti e affascinati dal nostro stesso urlo. Forse siamo dei fottuti egocentrici, è possibile. Il mio naso sembra sempre più grande, forse ha pure una gobbetta; non riesco a capire se ha cambiato forma o se è sempre stato così e non me ne sono mai accorta. Perché prima portavo gli occhiali ma da quando ho messo le lenti noto la distanza che si crea tra l'attaccatura del naso e poi il resto del naso: c'è come un avvallamento, una rampa di lancio come quella su cui fanno skateboard i ragazzetti, proprio prima che il naso inizi ad occupare il mio viso con tutta la sua dannata prepotenza. Nonostante questo, lo specchio di questo bagno mi fa sembrare sempre più bella, non so perché, ma ha la luce giusta.

- Dov'è, dov'è dov'è??

Ilaria riempie la tromba della scala coi suoi schiamazzi. Dev'essere appena rientrata, e già è pronta a scodinzolarmi attorno come un cagnolino esaltato.

– Civviaa, Civvia!!! - mi bussa frenetica alla porta e quando le apro sorride e mi abbraccia ad altezza dello stomaco, cioè dove arriva, e mi stritola come un peluche.

- Ehi, ehi, mi fai male!

- Mi sei mancata Civvia…

- Anche tu Ila mi sei mancata...Un sacco…

- Davvero? - mi chiede con occhi grandi e uno sguardo che ti mette in soggezione, quasi dicesse: “Guarda che se non è vero me ne accorgo, e sarà la cosa più patetica che tu abbia mai detto”.

Adoro quando i bambini danno molta importanza alle cose, e ci tengono a non farsi fregare, perché hanno capito che devono stare con gli occhi aperti, a vigilare su un mondo pieno di persone che non danno più importanza a niente.

- Sì, davvero, mi sei mancata moltissimo - le dico, e sono contenta di pensarlo davvero, perché se non fosse così lei lo saprebbe, e mi farebbe sentire davvero una merda.

- Ti va di vedere i miei nuovi quaderni? Oh, anche il nuovo zaino! Non hai visto nemmeno quello! - dice con un tono che mi fa davvero credere che il suo zaino nuovo sia la cosa più importante che mi sia persa in questi mesi lontana da casa; e forse è davvero così.

- Aspetta un attimo che mi vesto, poi mi fai vedere tutto…

- Posso venire con te? Non sono entrata in camera tua, ti giuro!

So che vorrebbe spostarsi nella mia camera, ma questo, per quanto le voglia bene, non succederà mai. Non prossimamente, comunque. So che tutto cambia, lo so se guardo i miei amici o pseudo amici che attorno alla boa di un paio d'anni si sono dileguati in giro per il mondo, come formiche in fuga da un formicaio distrutto dallo stivale di qualche imbecille. Oppure inseguendo echi di sirene, terre promesse, accodandosi ad altri in fila verso un nuovo mondo, fosse a due passi da casa oppure lontano chilometri. Necessità o scelta, siamo approdati su altre isole, e tutt'attorno è diverso, inesplorato, selvaggio, e fa così paura che vorrei solo tornare indietro e nascondermi sotto al banco come quando c'era il terremoto. O meglio, le prove per il terremoto. Era tutto un esperimento, prima, una simulazione della vita, entro i limiti sicuri di un ambiente noto, dalle variabili precise e controllate. Certo, ora tutto cambia, e continuerà a cambiare; non riconosco più i corridoi della scuola, le facce degli amici, le insegnanti che si avvicinano per chiederti se c'è qualche problema.
A volte io stessa non mi riconosco negli specchi, che non sono accomodanti come quello di casa mia, del mio bagno, non hanno le luci giuste, ma luci sparate come nei camerini di certi negozi di vestiti a buon mercato, ed evidenziano tutti i difetti, che sono sempre troppi. Però se mi guardo attorno, qui dentro, tutto è rimasto lo stesso: la mia camera intatta come l'interno di una chiesa, ed egualmente sacra, sepolcro della mia adolescenza, con altarini per celebrare le mie personali divinità. I poster di Ligabue appesi, la stampa del quadro di Van Gogh, le cartoline che Chiara mi mandava da Parigi, le liste dei film da vedere e dei libri da leggere, i cd masterizzati con le canzoni preferite, e poi le pile di libri e riviste troppe belli per essere aperti, che ancora aspettano protetti sotto uno strato di cellophane e di polvere. Una vita ferma, in attesa, come me che aspettavo un inizio e mi sono schiantata contro una fine. C'è di più in questa stanza, più dei mobili che è rassicurante trovare sempre al loro posto, più del colore delle pareti che è lo stesso che ho scelto quando avevo undici anni, più dei miei cimeli uguali a quelli di tanti altri. C'è qualcosa che non posso dire, che non riesco a spiegare, come una parte di me congelata che mi porto sempre dentro, e che quando sono qui si sbrina. Dovrebbe farmi paura, forse, dovrei rifiutarlo, e invece mi piace, e mi accomodo sul mio letto, che ha il materasso più comodo del mondo.

- Sai che il gatto di zia Mara è morto? Poverino, ha mangiato troppi topi e ha fatto indigestione... - mi racconta Ilaria mentre si pettina i capelli con una spazzola che ha trovato sulla mia scrivania.

- Ah sì? - rispondo mentre ad occhi chiusi ripenso a tutto il resto.

- Sì, quel gatto si mangiava qualunque cosa...Una volta siamo andati a trovarla e lei mi ha dato quei cioccolatini tondi, sai quelli che mi piacciono...Beh me li sono dimenticati sul puffo in salotto, sono andata via un attimo e quando sono tornata non c'erano più, Rolando se li era mangiati tutti, anche con la cartina!

Mi viene da ridere a pensare a Rolando, il gatto obeso goloso di cioccolato, morto per indigestione di topi. Uno che nella vita si è fatto andare bene tutto.

- Adesso zia Mara ha detto che ne prendono un altro...Sai, per Natale spero proprio che mi regalino un cane, perché sì anche i gatti son belli, cioè a me gli animali piacciono tutti, però i cani sono i miei preferiti. Tu cosa preferisci, i cani o i gatti?

Vorrei essere una di quelle persone che fanno le feste al cane quando ne vedono uno, senza preoccuparsi di saliva o zecche, una di quelle che si siedono per terra, sui prati, senza pensare alle siringhe, una che bacia in pubblico, baci in bocca, intendo, senza preoccuparsi di quello che pensa la gente, ma la realtà è che purtroppo non sono così. Difficilmente sono a mio agio, e mi muovo nello spazio come se fossi sempre capitata in un luogo per sbaglio, e cercassi di occupare meno posto possibile. Seduta negli angoli, in fondo alla classe, dietro alle colonne addirittura. È quasi una dote la mia abilità nel mimetizzarmi col paesaggio, giocare a trovarmi potrebbe essere lo spunto per un nuovo libro, sul genere del cane Spotty, quello giallo con macchie marroni che nei miei libri dell'asilo si nascondeva un po' ovunque e faceva altre cose stupide che noi bambini dovevamo smascherare.

- Ragazzee!!! Scendeteee!!!- urla mamma dal piano di sotto.

- Dobbiamo andare giù...Ma ti devo ancora far vedere tutto!

- Non ti preoccupare, abbiamo tempo... - mi rassicuro, e intanto scendo dal letto, che ogni volta è come una scalata. Per fortuna oggi ho lei che mi tira per il maglione, impaziente come se stesse sempre per accadere qualcosa di importante, come mi sentivo anch'io anni fa, il giorno della Vigilia.

- Dai, forza, se volete fare merenda la fate adesso però, subito...Altrimenti stasera non mangiate...E lo sapete che mangiamo presto…

- Quanto presto? - chiedo, in memoria di cene della Vigilia iniziate alle sette di sera.

- Eh ragazze, quando ci siamo tutti si mangia, su…

Mamma torna ai fornelli, che sono il suo personale altare. Pentole e padelle sono ovunque, e un fumo fitto esce da un pentolone che sembra quello di una strega.

- Chi sono “tutti” esattamente? - mi informo con discrezione.

- Eh, noi...I soliti…

- Guarda, Civvia, la stella cometa l'ho fatta io! - mi dice Ilaria mostrandomi un biscotto con la glassa bianca che sta in cima a tutti gli altri nel piatto. Però lo mangio domattina a colazione, è per il venticinque.

Il tè caldo allo zenzero e limone, i biscotti fatti in casa, mamma che cucina, Ilaria che mi sorride e mi vede migliore di quello che sono, la cucina così accogliente e così calda rispetto al freddo di fuori.
Il tempo pigro e comodo di questo pomeriggio, di queste poche ore della Vigilia, è come una benedizione, è il mio stupido regalo di Natale. Sorseggio lentamente il tè, goccia a goccia sulle labbra.



(continua...)
 
 
 
 

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