giovedì 12 dicembre 2019

Terapia e croccantini


Questo dicembre ho conosciuto un sacco di persone nuove. C'è la signora Moretti, che mette sempre un profumo alla rosa uguale a quello che usava la cara Dalila, prima che lo lasciasse. Mi piaceva Dalila, era elegante ma non altezzosa; sapevo di non andarle a genio, eppure riusciva sempre a essere gentile con me. E io dico che se proprio devi avere a che fare con qualcuno che non gradisci, tanto vale fare buon viso a cattivo gioco. Lei in questo era una vera maestra, sublime, sul serio. Sfoderava uno di quei sorrisi brillanti accompagnati da tenere fossette, avrebbe convinto chiunque. Infatti lui ci cascava sempre, quando lei gli sorrideva.
Martedì è venuta la signora Alessi, anche lei una novità del mese: è entrata tutta infreddolita nella sua pelliccia di visone, e questo dettaglio me l'ha resa subito sgradita. Sarò sincera, non amo chi si riscalda indossando animali morti. Non ho ancora capito che tipo di profumo indossi, sa di benzina e castagne ammuffite. Credo sia un po' antipatica anche a lui, ma, sapete, lui non può certo darlo a vedere. Non che sia bravo a fingere come la cara Dalila, però vi è costretto, fa del suo meglio.
Il signor Alfieri invece era un po' che non lo vedevo, è arrivato ieri tutto trafelato con una risma di giornali sotto braccio e carte e fogli che gli spuntavano dalla borsa sgualcita. Quell'uomo potrebbe essere il protagonista di una striscia comica a fumetti, un personaggio la cui principale occupazione sarebbe scivolare sulle bucce di banana e dimenticare il cappello nei posti più strani. Credo abbia anche un po' paura di me, che cosa singolare! Infatti mi evita e mi sta alla larga il più possibile, tanto che lui a volte, notando quella persistente tensione, è costretto a dirmi di lasciare la stanza.
Io lo faccio senza farmelo dire due volte, perché non ho certo intenzione di traumatizzare il povero signor Alfieri, uno al quale potrebbe essere fatale persino la sua stessa ombra.
Giovedì sembrava una giornata tranquilla, di quelle da passare sonnecchiando sul divano, al calduccio, mentre fuori avanza dicembre con la sua patina di freddo pungente e allegro.
Poi, proprio nel mezzo del mio agognato sonnellino, la porta si è aperta di colpo. Sbam! Un suono secco e improvviso che mi ha fatto saltare sulla poltrona. Era una ragazza con i capelli lunghi, magrolina, sembrava quasi una bambina. Portava un enorme zaino su una spalla, aveva gli occhi grandi e spaventati e profumava di biscotti.
“Sta cercando qualcuno?”. “Sì, vorrei parlare con il dottore, c'è, vero?”. “Ha un appuntamento?”. “No, no, non ce l'ho...” ha detto lei a bassa voce, vagando con lo sguardo attorno alla stanza.
“La faccio attendere un momento, signorina, intanto si accomodi”. Era davvero carina, ma sembrava essersi appena svegliata da un sogno, o forse, da un incubo, in cui ancora la sua mente vagava, facendola apparire distante e sperduta. Ho sperato davvero che lui potesse riceverla, perché di solito non lo fa, senza appuntamento. Su queste cose è un po' rigido, purtroppo, e io non ho certo voce in capitolo. In quel momento lui era impegnato con la Vasari, che stava di nuovo parlando del suo ex fidanzato e di come l'aveva lasciata da un giorno all'altro con un sms.
“Incredibile, dottore, non riesco a crederci...Lei riesce a crederci? Dopo sei mesi! So che per lei, forse, sei mesi non sono tanti, ma, sa, oggi, per la nostra generazione, con tutte queste relazioni usa e getta, i social, l'età dell'amore liquido, no? Non è vero? La pensa come me?”.
Lui ha intrecciato le mani davanti a sé come in preghiera, ha sollevato gli indici uniti e ha piegato la testa in avanti, ma non ha detto niente. Non dice quasi mai niente. A volte annuisce, a volte incrocia le gambe, quello non è un buon segno, raramente scuote la testa. Ma soprattutto intreccia le dita e appoggia il naso sugli indici alzati e giunti. Ancora, dopo tanti anni, non ho ben capito cosa significa, o meglio, potrebbe voler significare tantissime cose diverse, a seconda dei casi e delle persone, che per lui è un po' la stessa cosa.
Giulia Vasari scuoteva la testa e la massa di ricci mentre si asciugava le prime lacrime della giornata, sapendo che non sarebbero state di certo le ultime. “Io ci tenevo davvero a lui, non so se lei può capirmi. Mi capisce? In facoltà sono tutti così odiosi, viziati, insopportabili. Mi piaceva che lui fosse diverso da tutti quelli che conosco, che venisse da un altro mondo...Non troverò mai nessun altro come lui, nessuno, ci rinuncio...E il mese prossimo faccio ventisei anni, capisce?! Ventisei! Ventisei sono troppi per stare da sola.”
Lui mi ha cercato con lo sguardo, come fa quando è stanco di sentire ripetere la stessa solfa per la centesima volta, e si pente di non aver seguito il consiglio di suo padre che lo voleva veterinario come lui. Gli animali gli avrebbero creato sicuramente meno problemi, pensa. Più istintivi, guidati dal fiuto, sentono le cose sulla pelle, non si lasciano ingannare dalle storie seducenti della mente, a volte così convincenti da essere letali. Se solo i suoi pazienti si ricordassero della loro natura istintuale, primitiva, selvaggia, di quella voce che dentro di loro è un richiamo e li condurrebbe sempre al posto giusto, come il fiuto dei cani da tartufo. E invece fanno di tutto per non ascoltarla, per soffocarla, per metterla a tacere e sovrastarla con le voci degli altri, con i rumori dell'esterno.
Lei ci prova a farsi sentire, a guidarli, ma loro le mettono il bavaglio, non la liberano, e vivono nella gabbia dei loro pensieri e dei loro ragionamenti perfetti ai quali sfugge sempre qualcosa. Incastrati nelle loro prigioni come animali in cattività. E la libertà che poi cercano spasmodicamente ovunque tranne che in loro stessi ha sempre un prezzo.
“Sono ottanta euro, cara”.
A dicembre ha alzato i prezzi, eppure a me riserva sempre lo stesso schifo. Sono proprio stanca dei suoi complimenti e delle sue carezze in pubblico. Penso che se potesse farebbe sedere anche me su quella poltrona reclinabile, a fissare la foto in bianco e nero di quel tizio con la barba e il sigaro che ha sistemato sulla libreria. Ma nelle sedute pare sia richiesta la sincerità assoluta, almeno da parte di chi si siede lì, e io non so se avrei il coraggio di essere davvero sincera con lui. Perché in fondo gli sono anche affezionata, è tanto che sono qui, ho visto andar via la sua prima moglie e poi anche la seconda, la cara Dalila, più un paio di fidanzate durate poco. Ero qui quando ha ricevuto quella orribile telefonata in cui gli dicevano che la sua mamma era morta. Non so se avrei la forza di dirgli in faccia quello che penso sul serio di lui. O meglio, non proprio in faccia, perché non vuole che i suoi pazienti lo guardino durante la seduta, chiede sempre di guardare dritto davanti a loro la foto in bianco nero incorniciata. Però, insomma, avete capito.

“Mi scusi se la disturbo mentre è in seduta, dottore, ma c'è una ragazza di là che vorrebbe vederla. Non ha l'appuntamento, ma ha un'aria un po' strana, ad essere sinceri...Sembra piuttosto spaventata, turbata...”. “Non ricevo senza appuntamento, come lei sa”. “Sì, certo, dottore, ma pensavo che potesse fare un'eccezione...”. A quel punto lui si è allontanato dalla Vasari e sibilando ha detto: “Non ho costruito la mia carriera facendo eccezioni, non si arriva da nessuna parte, con le eccezioni. Le dica di prendere un appuntamento”. È tornato a sedersi per ultimare la sua seduta con Giulia, ed è negli ultimi dieci minuti, di solito, che si azzarda a parlare: “Allora, mi dica, lei che animale pensa di essere?”. Giulia l'ha guardato con gli occhi carichi di stupore e ha sollevato il sopracciglio. “Mi scusi, come?” . “Chiuda gli occhi, se lei fosse un animale, che animale sarebbe? Non è una domanda difficile”. “Mah, sinceramente, io...Non ci ho mai pensato...Veramente...Volevo sapere da lei se dovrei mandare un altro messaggio a Luca per sapere perché mi ha lasciato così, di punto in bianco, oppure se sarebbe meglio chiamarlo, o non chiamarlo affatto, dato che da due settimane ormai ignora le mie telefonate...E poi vorrei avere qualche consiglio per l'università, sa, le dicevo che faccio fatica a concentrarmi, e temo davvero di non farcela con questi ultimi esami, sto soffrendo moltissimo, la notte dormo poco...”. “Quale animale!” ha sbottato lui alzando la voce.
Lei si è irrigidita, e ho visto che tratteneva le lacrime. “Forse...Forse un cerbiatto...?” ha bisbigliato con voce tremante. “Un cerbiatto” ha ripetuto lui accomodandosi in un sorriso. “È un bell'animale...Tenero, dolce, con quegli occhioni che osservano tutto...Ma lei è un cerbiatto che fugge, che si dimena, perché è selvaggio e non vuole farsi domare...E secondo lei io che animale sono?”. Ho guardato con infinita compassione la cara Giulia, così smarrita, mentre incrociava le braccia al petto, e abbassava lo sguardo. “Io...Davvero...Non saprei...”. “Provi!”. “Forse un furetto...” disse lei, pensando ai suoi occhietti piccoli e neri, al suo naso insolente, ai suoi baffi. “Ahhh...Un furetto, certo, mi piace...Perché è un animale curioso, che va a scavare nella mente delle persone...Va a infilarsi anche negli angoli e negli anfratti in cui non dovrebbe andare...È fastidioso, lei mi trova fastidioso?”.
Giulia ha deglutito e stavolta è stata lei a non dire niente. “È finita la nostra ora” ha sentenziato lui dopo un rapido sguardo all'orologio. “Prima di andare posso chiederle se...”. “La prossima volta! Arrivederci”.
Giulia è uscita dalla porta con tutti i suoi dubbi. Lui si è acceso il sigaro e mi ha chiamato nella stanza. “Vieni qui, Neve, fatti accarezzare, il mio bel cagnolone!”. Ho scodinzolato un po', provando sollievo al pensiero che, perlomeno, a me non avrebbe mai chiesto: “Che animale pensi di essere?”.




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