mercoledì 25 dicembre 2019

Natale a casa (parte 4)



- Allora...Cosa vuoi fare ai capelli? - chiedo a mia sorella quasi bisbigliando.

- Mh...Non so ero indecisa, volevo fare i boccoli ma forse è tardi…

- Lo sai che non sono molto brava in queste cose...Una treccia? Che ne dici? Una treccia speciale, tipo alla francese…

- Alla francese? - chiede lei con occhi vispi.

- Sì, e possiamo metterci anche...Aspetta....

Rovisto un po' nei miei vecchi cassetti del bagno, dove ho lasciato le spillette e i cerchietti di quando ero piccola, e mia madre mi conciava a festa per andare a scuola. Una cosa leziosa e disgustosa. Però forse sotto quella marmaglia di fiocchetti, perline e spille tira capelli c'è nascosto un piccolo tesoro del mio passato, che può tornarci comodo anche nel presente.

- Ecco! Possiamo metterci questi!

Ilaria strabuzza gli occhi e solleva la fronte, non mi sarei aspettata una reazione migliore.

- Dove li hai presi? Me li presti, me li presteresti per stasera?

Avevo comprato questi brillantini con Caterina, in un negozietto del centro che vendeva accessori per capelli, trucchi e bigiotteria. Sono come piccoli diamanti, naturalmente finti ma molto luccicanti, fissati su una molla minuscola che si attacca ai capelli. Non fanno male, non si sentono nemmeno, e sembra che una pioggia di cristalli ti sia caduta sulla chioma. Li adoravo. Io e Caterina li avevamo comprati uguali, due bustine per una, ed era proprio il periodo di Natale; li mettemmo a Capodanno e tutte le altre ragazzine ci guardarono rapite dall'invidia, piccole gazze ladre attratte da tutto ciò che luccica: oro, cristalli, o un'amicizia. Eravamo abituate, infatti, a quegli sguardi, a quei bisbigli e a quelle gomitate che le altre si davano quando entravamo in classe, quando ci isolavamo dal gruppo e parlavamo per ore una lingua solo nostra, ridendo a battute che loro non capivano. Ci odiarono quando arrivammo a scuola con lo stesso cellulare, quando il lunedì mattina scoprirono che il sabato pomeriggio eravamo andate in centro senza di loro, e, ovviamente, quando vennero a sapere che stavamo organizzando addirittura le vacanze al mare insieme. Con lei sono andata al mio primo concerto, ho scoperto gruppi alternativi che come le altre non avevo mai sentito nominare, e ho iniziato a uscire il sabato sera nei locali, anche se ci stancavamo presto tutte e due della solita gente che era sempre la stessa, e del fumo che ti si appiccicava sulle giacche, e della consumazione obbligatoria che finiva in una coca annacquata al rum perché non avevamo il coraggio di provare altro. Preferivamo stare a casa sua, i suoi non c'erano mai, e potevamo guardare film, ascoltare musica, ma soprattutto parlare per ore e fantasticare sul futuro. Progettavamo, naturalmente, la nostra fuga da tutto, dalla provincia esistenziale in cui eravamo confinate dall'età e, nel mio caso, anche dalla paura. Quella paura che ancora mi accompagna, mi sta col fiato sul collo e come uno stalker mi segue ovunque e non mi abbandona mai. Caterina infatti se n'è andata davvero: ha lasciato la città e quella vita di prima che, sapeva, aveva solo preso in prestito; io invece sono ancora qui, ancora ferma, e vorrei solo che lei fosse rimasta ferma con me, perché finché c'era lei mi andava bene anche tutto quello che odiavamo. A me non dispiace la provincia, ci vuole solo la giusta compagnia.
Le fughe in macchina sulla via Emilia o quelle in camera sua sulla musica dei Diaframma per me erano abbastanza, per me erano praticamente tutto. Non so se è diventata quello che voleva, se canta e suona la chitarra in giro per i locali, se scrive ancora quelle canzoni dolci e stridenti insieme che mi faceva sentire appena composte, ancora nude e tiepide. Ho sbirciato le sue foto su quel cavolo di Facebook; si è trasferita a Roma, naturalmente è bellissima, ma non sono riuscita a capire che cosa fa. Però sono sicura che è sempre lei, e se mi vedesse, invece, non mi riconoscerebbe. Non sono diventata niente di quello che forse avevamo deciso, di quello che sognavo, e ho ancora meno coraggio di quanto ne avessi allora, quando uscivamo insieme e lei mi spronava ad essere me stessa, come se fosse davvero la cosa più importante al mondo, come se ne valesse sempre la pena. Ora forse non riusciremmo nemmeno ad essere amiche, figuriamoci il resto.

- Tu non ti cambi? - mi dice Ilaria, che nel frattempo si è messa un vestitino rosso di velluto col colletto bianco ricamato.

- Caspita, sei davvero elegante…

- Lo so, io volevo mettermi i pantaloni e la maglia con le scritte che mi ha regalato zia per il compleanno, ma mamma non vuole, ha detto che il vestito per Natale è meglio…

- Mh...Capisco...Ma ti piace almeno?

- Sì, sì è carino, solo che le calze pizzicano da morire…

- Mettici i leggings se no...Così tieni il vestito ma almeno sei comoda…

- Civvia sei un genio! Ce li ho in un sacco di colori, aiutami a scegliere! - mi dice spalancando l'armadio.

- Guarda, questi sembrano proprio delle calze, mamma secondo me non se ne accorge nemmeno... - dico con spavalderia, come se non sapessi che mamma fiuta i dettagli inutili come cani da tartufo in pensione, capaci di disotterrare solo patate.

- Ok, ora la treccia francese!

- Dimmi se ti faccio male... - le chiedo preventivamente, ricordando antiche torture.

Appena finito, Ilaria si specchia ed esulta:

- È bellissima! La adoro! Grazie Civvia! Dai andiamo che siamo in ritardo!

Ila sfreccia di sotto, come se fosse davvero troppo tardi, e come se la serata fosse per forza piena di sorprese e di cose belle che ancora non conosciamo. Prendo in prestito un po' di questa energia fiduciosa, un po' di questa felicità che non chiede di sé e non si interroga e non dubita.
Mi guardo allo specchio e vedo che sono sempre io, ci sono ancora, sotto il trucco, o senza trucco, con gli occhi stanchi, o i brufoli da stress. Sono sempre io, nonostante questi mesi, e questi anni osceni. Vorrei rivedere Caterina, e vorrei che mi trovasse sempre bella.

- Silviaa!

- Sì arrivoo!

Arrivo giù e ci sono tutti: papà, con l'immancabile felpa rossa e bianca, chiacchiera allegramente con zio Oscar, mamma col grembiule addosso è intenta a spiegare cosa è andato storto nella preparazione di una cena che sarà comunque superba, zia Mara la ascolta e annuisce pazientemente.
Sono arrivati Paolo, nostro fratello, e la sua fidanzata Lucia: lui mi accoglie con un sorriso caldo e dispiaciuto, come se rivedesse il fantasma di un Natale passato, lei invece dice che non mi bacia per non contagiarmi il raffreddore, o per non rovinarsi il rossetto. Ilaria saltella di qua e di là come un folletto, galvanizzata da tutta quella gente, mentre Federica, la nostra cuginetta, tenta di stare al suo ritmo. È arrivata anche Chiara, sta in un angolo attaccata al termosifone, e si guarda attorno poco convinta. Mi sono mancati tutti, mi sono mancati un sacco. Ho deciso che voglio dirglielo. Voglio dirgli tutto.

- Silvia! Allora come va? Ti nascondevi? - chiede Paolo e mi mette un braccio attorno alle spalle.

- Sì, qualcosa del genere...Ahah...Ho aiutato Ilaria a farsi i capelli…

- È bellissima questa treccia, come hai fatto?

Mamma passando intercetta la nostra conversazione e si rivolge a me.

- Ah niente…

- Però l'hai convinta tu a mettersi quei fuseaux? - mi dice stavolta più a bassa voce, avvicinandosi al mio orecchio.

- Non è che l'ho…

Non mi lascia neanche rispondere e si affretta in cucina.

- Si è bruciato di nuovooo! - la sentiamo urlare un attimo prima che Paolo chiuda la porta.

- Allora cosa racconti? Come va all'università?

- Paolo... - tentenno come a voler cambiare argomento - Abbastanza bene…

Lucia mi guarda e mi sorride un po' troppo famelica.

- A tavola forzaa! Mettetevi tutti al vostro posto! - urla mamma.

- Ciao, comunque, eh! - mi fa Chiara avvicinandosi appena – Come stai?

- Ciao...Bene...Tu?

Lei annuisce. Vorrei chiederle di quella testa di cazzo per protocollo, ma in realtà naturalmente non mi interessa e così lascio perdere. Credo sia arrabbiata perché papà non ha voluto che lo portasse a cena, ma forse è per un altro motivo, lei ne trova sempre uno buono per arrabbiarsi.

- Scusate, c'è stato un piccolo imprevisto...Dobbiamo aspettare ancora un po' per mangiare, ce la fate, sì? - si scusa mamma imbarazzata come Paco, il nostro vecchio cane, quando lo beccavamo a pisciare nei vasi da fiori.

- Anto non ti preoccupare, non c'è assolutamente fretta...Non ci corre dietro nessuno, no? - dice zia Mara con la sua voce roca ma dolce, ignara di tutto.

- Sì, sì infatti...- risponde mamma decisamente poco convinta.

- Intanto possiamo chiacchierare un po'... - continua zia Mara con quei suoi occhi azzurri ben sottolineati dalla matita.

- Accendiamo la tv, che dev'esserci il telegiornale... - dice zio Oscar guardando papà.

Zia Mara gli lancia un'occhiataccia, e poi rassegnata va con gli occhi al cielo.

- È ancora presto mi sa... - dice papà, e intanto cerca il canale.

- Sentite...Perché nel frattempo, intanto che aspettiamo la cena, non facciamo suonare qualcosa a Ilaria? Eh, Ila, che ne dici? Ci fai sentire qualcosina?

Mamma naturalmente ha avuto l'idea del secolo, come ogni Natale. E grazie a dio non tocca più a me onorare certe iniziative.

- Non mi va... - si lamenta Ilaria.

- Dai su, fai sentire alla zia Mara che non sa come lo suoni bene il pianoforte…

- Dai Ila, facci sentire qualcosa...- incita papà, e a lui ti viene sempre male dire di no.

Allora Ilaria si alza e va al pianoforte. Mamma prontamente le va incontro e le sposta la treccia sulla schiena, poi le dice di togliersi il braccialetto che potrebbe graffiare il piano, e le chiede se non preferirebbe cambiarsi le scarpe, dato che ha ancora le pantofole.

- No, dai…

- Dai su, ci metti un minuto, vatti a mettere le scarpette col cinturino, che ti stanno benissimo.

- Ho detto che non me le cambio!

Ilaria l'ha guardata fissa negli occhi, con uno sguardo e un tono così decisi che hanno zittito pure il chiacchiericcio della tavola. Mamma fa un passo indietro e ci apprestiamo ad ascoltare.
Ilaria suona un paio di canzoni natalizie, e quando Paolo le chiede il bis lei ripete contenta “We wish you a Merry Christmas”, e si vede che ci ha preso gusto.

- Tesoro, sei davvero bravissima... - le dice Lucia con un sorriso finto dipinto di rosso.

Ila sorride e non dice niente. Papà dice grazie al suo posto, e Ilaria lo guarda un po' storto.

- Guardate che tempismo eh, proprio puntuale...Appena Ilaria ha finito di suonare...Adesso possiamo mangiare... - spiega mamma in uno dei suoi deliranti monologhi, mentre io e Chiara ci guardiamo scuotendo la testa.

- Che begli antipasti, mamma, come li hai fatti? - chiede Paolo.

Mentre mamma sciorina ricette, ingredienti, metodi e segreti dell'arte che le viene bene spontanea e incolta, Chiara, che si è seduta vicino a me non rispettando i posti assegnati, mi si avvicina ancora di più e mi fa:

- Sono contenta che tu sia venuta…

- Beh, credevi che non venissi per Natale...?

- Io a volte non tornavo per le vacanze...Non ti ricordi...?

- Sì, certo che mi ricordo. A me piace quando siamo tutti insieme.

- Già...Ma a volte è meglio se non ci sono proprio “tutti”... - dice calcando le parole nel modo giusto, e con uno sguardo che mi dice tutto quello che avrei voluto sentirle dire da secoli, da quando ha conosciuto quel becchino inglese. Le sorrido, chiedo conferme, e lei mi sorride ma con le labbra imbronciate, come quando si arrabbia per uno sbaglio che ha fatto e che il suo orgoglio proprio non accetta.

- Aspettate devo accendere le altre lucine dell'albero! - grida Ilaria - Ecco, ora va bene! - afferma quando anche l'ultimo degli aghi di finto pino è stato colpito dalla luce.

Sarà pacchiana questa nostra personale Las Vegas, ma a me piace. Le cose cambiano, ma ciò che è rimasto, che ha superato gli anni e i ripensamenti e le riflessioni esistenziali, è la voglia di stare insieme a tutti loro, anche se fanno chiasso e vogliono sempre la tv accesa. E Natale ha senso per questo, perché Chiara finalmente torna a casa, perché Paolo chiede a mamma le sue ricette, per l'entusiasmo di Ilaria, più travolgente del solito, per papà che si mette la sua felpa rossa e per una volta cena con noi, per zia Mara che è sempre bellissima, e dietro a un sorriso sincero sembra nascondere una vita intera. Voglio dirglielo davvero, farlo adesso che ci sono tutti.

- Volume, alzate il volume! - dice zio Oscar appena si è accorto che il tg è già iniziato.

- Siete tutti seduti? - chiede mamma dalla cucina – Arrivano i cappelletti!!!

Che pace nel cuore quando arrivano i cappelletti. Un piatto di brodo caldo abbastanza da rinfrancarti del freddo di tutti gli inverni. Vorrei che nonna fosse qui, prima a Natale era lei, timida e schietta, che ci portava i suoi cappelletti fatti in casa.
Ok, respira: glielo dico adesso, mentre ci apprestiamo a mangiare, e tutti mi ascolteranno, saranno attenti, incuriositi, certo, forse un po' sorpresi, ma comprensivi, sorridenti, accoglienti. Non mi giudicheranno e non mi faranno domande a cui non so rispondere. Mi diranno solo che loro sono la mia famiglia, che mi vogliono bene e che me ne vorranno sempre.

“Notizia inaspettata dalla Slovenia, il parlamento ha infatti riaperto il dibattito per l'approvazione della legge sui matrimoni gay. Secondo i sondaggi, il sessanta per cento degli sloveni è favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, e se il decreto fosse introdotto la Slovenia sarebbe il quattordicesimo paese europeo a permettere alle persone dello stesso sesso di sposarsi...”

- Per favore cambiamo canale, le bambine non dovrebbero sentire certe cose! - sbocca mia madre.

Maledizione. Forse è meglio se aspetto. Sì lo so che non dovrei dare per scontato nulla, che io per te non sono un'estranea in tv e che potresti imparare ad accettarmi se ti spiegassi che non c'è niente di sbagliato in ciò che sono, ma non ne ho proprio voglia, vorrei che fossi tu a dirmi che non c'è niente di sbagliato in ciò che sono.

- Certo che almeno a Natale potrebbero evitare di parlarne…

È stato papà a dirlo. Mi ha fatto più male di uno schiaffo, e infatti sento il calore salirmi alle guance. Vorrei scomparire, vorrei non essere mai esistita, tanto per quanto esisto adesso, non sentirei la differenza: mi sento vuota, nessuno mi vede, nessuno mi conosce davvero, nessuno può amarmi. Però ci sono i cappelletti, e le luci sull'albero, e il pandoro, è Natale, e sono a casa, ed è tutto bellissimo.






Nessun commento:

Posta un commento